di Maria Domenica Castellone
Parlare di investimenti significa parlare di futuro, significa programmare la destinazione delle risorse per quelle che sono le priorità di un Paese.
Secondo qualcuno l’Italia deve porsi l’obiettivo di rendere strutturali gli investimenti nel settore della difesa ed aumentare le spese militari. Noi riteniamo che quello della difesa resti un settore strategico e fondamentale, ma che i veri investimenti sul futuro dell’Italia e degli italiani debbano riguardare altri settori. La salute e l’istruzione in primis.
Sono i numeri a dircelo.
Partiamo dalla salute. In tre anni, tra il 2019 e il 2021 gli ospedali pubblici hanno perso oltre 8 mila medici. È una emorragia da dimissioni volontarie che solo in minima parte include i contratti giunti a scadenza. La pandemia ha portato alla fuga di circa il 60% del personale medico, che si è ricollocato nelle strutture private oppure si è dedicato alle attività private e a quelle di medicina generale. Stress, esposizione a rischi, turni massacranti, chiusure di reparti e dunque minore possibilità di carriera, penuria di mezzi e di uomini, trauma emotivo da pandemia. Sono cause concomitanti che hanno determinato un preoccupante fenomeno di migrazione già in atto prima del COVID a causa della compromessa condizione del SSN.
I dati arrivano da una indagine di Anaao Assomed e sono impietosi per tutte le regioni, su tutto il territorio nazionale.
Inoltre in tre anni sono andati in pensione 12.645 medici. La fuga dal pubblico non si è arrestata con la fine dello stato di emergenza, anzi rischia di peggiorare vista la difficile situazione delle lunghissime liste di attesa da smaltire. È dovere dello Stato far fronte alle carenze del SSN, non può essere demandato ai medici, così come a tutto il personale sanitario, l’onere di sopperire a falle strutturali. Per questo dal primo giorno di legislatura ci battiamo per riportare la sanità al centro dell’agenda politica.
Lo stesso discorso si può fare per la scuola, l’università e la ricerca. L’Italia spende in istruzione il 15% in meno della media delle grandi economie europee. Anche rispetto al Pil, quella italiana è la spesa più contenuta: il 4% raggiunto con i governi di Giuseppe Conte faceva ancora i conti con una media Ue del 4,7%, ma purtroppo le previsioni del governo per il prossimo triennio vedono una riduzione degli investimenti sulla scuola rispetto al Pil addirittura al 3,4%. Un quadro difficile da accettare, soprattutto dopo il sacrificio che l’intera comunità scolastica italiana ha fatto nel periodo della pandemia. E reso se possibile ancora più allarme dai dati diffusi ieri dal rapporto Bes 2021 ‘Il benessere equo e sostenibile in Italia’ diffuso dall’Istat, che segnalano che il nostro Paese ha il primato per il numero di giovani tra 15 e 29 anni che non sono più inseriti in un percorso scolastico o formativo e neppure impegnati in un’attività lavorativa. I famosi Neet, Not in Employment, Education or Training.
Ed allora: come si può pensare di dare priorità ad altri settori se prima non si investe nelle reali esigenze del Paese?
Rendiamo strutturali gli investimenti in salute, in istruzione, università e ricerca. Tutto il resto viene dopo.