Pronti a dare il nostro contributo per non sprecare nemmeno un euro dei fondi del PNRR

L’INTERVENTO DI GIUSEPPE CONTE SUL CORRIERE DELLA SERA:

Nel luglio 2020 si tenne il Consiglio europeo che pose fine all’estenuante trattativa per i 209 miliardi del Recovery Fund. Un politico di lungo corso mi avvertì subito: «Questo è l’inizio della fine per il tuo governo, gli avversari politici e i vari comitati d’affari non ti lasceranno mai gestire quei fondi». L’avvertimento non mi lasciò indifferente, ma non valse a offuscare la soddisfazione per aver ottenuto un risultato storico per i cittadini italiani, i quali finalmente intravedevano all’orizzonte una concreta stagione di crescita e sviluppo, sociale e ambientale.

Quei 209 miliardi erano anche il segno tangibile di una nuova Europa, capace di chiudere la stagione dell’austerità e rispondere nel segno di una più matura solidarietà alla tragedia della pandemia che tanto duramente aveva colpito il nostro Paese. Di lì a pochi mesi quella profezia iniziò a materializzarsi. Avversari, anche interni alle forze di governo, le forze di opposizione, una buona parte dei media e vari esponenti di alcuni circuiti economici e finanziari intensificarono gli sforzi per far crescere la percezione che il governo in carica non offrisse sufficienti garanzie di gestire in modo efficiente i fondi del Pnrr.

Il resto della storia è noto ed io lasciai Palazzo Chigi quando il Piano era in fase di ultimazione, in attesa di essere presentato a Bruxelles. Il lascito del governo guidato da Mario Draghi, certificato dalla sua ultima Nadef, è di 13 miliardi di euro di minori spese del Pnrr rispetto a quelle da lui stesso previste nel Def precedente. Poi è arrivato il governo di Giorgia Meloni ed è la cronaca ad aggiornarci su come stiano andando le cose: l’Italia è in una condizione di conclamata difficoltà. Una buona metà delle iniziative e delle misure sono in ritardo ed è stato speso solo il 6% dei fondi, come certificato dalla Corte dei conti.

La prospettiva, confermata dalle dichiarazioni del ministro Fitto, è che alcuni progetti non sono realizzabili entro la scadenza stabilita. Di fronte però alla possibilità di perdere i fondi del Pnrr, anche una forza di opposizione intransigente come il Movimento 5 Stelle non può rimanere a guardare. In ballo c’è qualcosa che travalica le dinamiche di maggioranza e opposizione, che si sgancia dalle logiche del consenso elettorale. Qui è in gioco la credibilità dell’Italia. Se falliamo sul Pnrr non fallisce solo Giorgia Meloni, fallisce l’Italia intera e la possibilità del suo definitivo rilancio.

Perdere questa occasione significa lasciarsi sfuggire una capillare rivoluzione in termini di maggiori investimenti nella sanità, nelle scuole, nelle infrastrutture, in tutto ciò che può farci affrontare una impegnativa transizione ecologica e digitale, nel segno di una maggiore inclusione sociale. Il nostro fallimento rischia di trascinare con sé anche il fallimento dell’idea di un’Europa solidale, con il risultato di lasciare campo libero ai falchi dei tagli e dell’austerità e di aprire un’autostrada a un rinnovato senso di sfiducia verso l’Italia e verso l’Europa intera.

Per questi motivi il M5S non lascerà nulla di intentato. È disponibile a sedersi a un tavolo e a rimboccarsi le maniche per dare il proprio contributo nell’interesse comune, per rimediare ai ritardi collezionati in questi mesi e agli errori sin qui commessi. Dobbiamo farlo tutti, anche coloro che, come noi, sono linearmente all’opposizione.

A Giorgia Meloni poniamo però due precondizioni. La prima è una grande operazione di trasparenza, assolutamente necessaria a individuare cosa non sta funzionando e dove occorre intervenire. La seconda è l’ascolto delle proposte del M5S e delle altre forze politiche, anche di opposizione, che vorranno offrire il proprio contributo. Il Pnrr non è una bandiera attorno alla quale ridursi a fare i tifosi: quei 209 miliardi hanno solo una bandiera, quella dell’Italia.

Qualche giorno fa Giorgia Meloni ha detto che si dimetterebbe piuttosto che andare in Europa come sono andato io. Dopo aver portato in Italia da Bruxelles 209 miliardi, io invece mi dimetterei dai miei incarichi politici se oggi mi limitassi a fare polemica senza mettermi a disposizione del mio Paese per salvare quei fondi e la concreta prospettiva di un futuro migliore.

Giuseppe Conte