Intervento di Mariolina Castellone, replica all’informativa del Ministro dell’Interno sui fatti accaduti durante le recenti manifestazioni di studenti.
Il 21 gennaio moriva a 18 anni Lorenzo Parelli, mentre svolgeva un apprendistato previsto dal suo percorso di studi. La sua vita si spezzava per la caduta di una putrella pesante 150 chili.
Una tragedia che impone, ancora una volta, l’urgenza di affrontare con serietà e decisione il tema della sicurezza sul lavoro: perché sul lavoro non si può morire così, a 18 anni come a 60 anni.
Come ci ha ricordato il Presidente Mattarella, dicendo che “le morti sul lavoro feriscono la società, e la coscienza di ognuno di noi, perché la sicurezza di ogni lavoratore riguarda il valore che attribuiamo alla vita”.
Questa tragedia ha sconvolto tutti noi e soprattutto i coetanei di Lorenzo. Ragazzi per cui una morte così atroce è stata un macigno pesantissimo. Perché ognuno di loro avrà pensato: “potevo esserci io”, “poteva capitare a me”.
E di certo questi ragazzi così indignati ed addolorati per la morte di un loro coetaneo non possono essere definiti “provocatori”, e comunque qualcosa va rivisto, se alle “provocazioni” di adolescenti arrabbiati si è risposto caricandoli con i manganelli. Possiamo tirare in ballo tutte le norme possibili, ma ciò non toglie che quelli fossero solo ragazzi. Me lo lasci dire ministro, quelli sono i nostri ragazzi e se, come lei stessa ha dichiarato, si è verificato un corto circuito, dobbiamo impegnarci affinché non accada mai più.
Le parole di Gabriele, uno degli studenti presenti alla manifestazione dei giorni scorsi, sono esplicite:
“Siamo consapevoli delle restrizioni vigenti per la sicurezza sanitaria, ma ci sono tempi burocratici e tempi politici; quello che è successo a Lorenzo ha significato tanto per noi. E avevamo la necessità politica di farlo capire con ogni mezzo necessario”.
Questi ragazzi hanno il diritto di essere ascoltati dalle istituzioni perché escono già pesantemente segnati dalla pandemia, che li ha privati del tempo più spensierato nei loro anni più belli, li ha allontanati dagli amici, dagli abbracci, dalla spensieratezza di vivere, li ha scaraventati nella solitudine, nelle distanze, nella paura di contagiarsi e contagiare.
Questi ragazzi sono il nostro futuro, il futuro del nostro Paese, e oggi ci stanno chiedendo aiuto. La pandemia ha messo a dura prova la loro salute mentale se l’incidenza di depressione e ansia fra gli adolescenti è raddoppiata e sono aumentati del 30% i disturbi alimentari. Uno studio promosso da Università Cattolica di Milano ci ha rivelato che il 2% degli adolescenti pensa quotidianamente a morte o autolesionismo.
E se non siamo riusciti a proteggerli dai danni legati a questa pandemia, abbiamo certamente il dovere di ascoltare il loro grido di dolore, che si esprime anche con la ribellione. Perché quei giovani in piazza ci chiedevano non solo di essere protetti ma di imparare a guardare il futuro con i loro occhi. Secondo i dati del World Economic Forum, il 65% dei bambini oggi a scuola farà un lavoro che non esiste. Noi siamo pronti? In che modo li stiamo preparando al futuro? Quanto spazio diamo alla loro creatività e allo sviluppo dei loro talenti?
In questi giorni tante organizzazioni studentesche, ragazzi e ragazze hanno raccontato le loro esperienze di scuola-lavoro e apprendistato denunciando come spesso si tratta di esperienze poco o per nulla formative, di mansioni ripetitive e poco qualificanti che non stimolano i ragazzi né li aiutano ad orientarsi nel mondo del lavoro.
E allora aiutiamoli davvero, questi giovani, innanzitutto con l’ascolto ed il confronto, e non con i manganelli. E poi aiutiamoli soprattutto a scrivere con coraggio il futuro che gli appartiene.
Papa Francesco durante la Giornata mondiale dei giovani gli diceva: “E’ il compito più arduo e affascinante che vi è stato consegnato: stare in piedi mentre tutto sembra andare a rotoli, essere sentinelle che sanno vedere la luce nelle visioni notturne; essere costruttori in mezzo alle macerie…essere capaci di sognare…”
Il nostro compito è invece quello di essere bravi ad alimentarle quelle fiammelle, tenendo accesa la luce dei loro sogni e costruendo con loro, con coraggio e visione, una storia all’altezza di questi sogni.