Milioni di donne, in Italia e nel mondo, sono vittime di violenza, indipendentemente dal loro livello educativo, professionale o socio-economico. E il fenomeno non è un’emergenza, perché si tratta in realtà di una condizione strutturale diffusa e radicata, che richiede interventi continuativi per riconoscerla, prevenirla, contrastarla, punirla.
Da inizio 2023 a oggi in Italia sono state uccise 107 donne, di cui 87 in ambito familiare e 55 di loro per mano del partner o dell’ex. Stiamo parlando di una donna uccisa ogni 3 giorni, un terzo del totale degli omicidi in Italia. Tutte vittime dell’arretratezza culturale, del pregiudizio sociale, dell’ignoranza e di quelle forme più arcaiche del patriarcato, che considera ancora oggi la donna un oggetto da possedere a proprio piacimento e disfacimento.
Solo da pochi decenni la violenza contro le donne è ritenuta una violazione dei diritti umani, una questione di salute pubblica, un ostacolo allo sviluppo economico e un freno a una democrazia compiuta. E la punta dell’iceberg di questa violenza è il femminicidio: fallimento di una società che ancora oggi non è riuscita a estirpare alla radice i germi della violenza.
Per superare la deriva in cui da anni ci troviamo, dobbiamo essere in grado di decifrare il tempo che viviamo, per agire sulla prevenzione, da un lato, e spingere un cambiamento culturale dall’altro, perché la radice di tutto questo non può che essere ritrovata sul piano culturale.
Ecco perché abbiamo portato anche in Parlamento un progetto normativo per introdurre in maniera strutturale e continuativa ore di educazione affettiva e sessuale e uno psicologo fisso in tutte le scuole italiane di ogni ordine e grado, sin dalle prime classi. Per educare a conoscere le emozioni, ad accettare i rifiuti e a rispettare le scelte dei partner. Sembra assurdo, ma nonostante l’educazione affettiva e sessuale sia prevista dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dall’Unesco, in Italia ancora è una grande assente.
Spingere un cambiamento culturale significa anche cambiare linguaggio e sradicare gli stereotipi. Il “raptus” sembra essere una giustificazione “passionale”, per non parlare di chi inconsciamente o meno dà la colpa alla vittima o a un’altra donna.
Tutto ciò non è più tollerabile.
Vanno rinforzati i centri antiviolenza e le case rifugio, che soffrono di finanziamenti a singhiozzo e dispongono di personale che per metà opera su base volontaria.
Vanno implementati i centri per gli uomini maltrattanti, ancora troppo poco diffusi (addirittura alcune regioni ne sono prive) nonostante sia stata dimostrata la loro efficacia nel dimezzare la recidiva. Inasprire le pene non è la soluzione, e va persino contro la convenzione di Istanbul, che vede nel cambiamento socioculturale la chiave di volta per arginare il problema.
Va sostenuta l’autonomia finanziaria delle donne che denunciano e in generale l’occupazione femminile. La dipendenza economica è dipendenza psicologica ed è uno dei motivi principali della difficoltà a uscire da contesti violenti. In Italia il 22% delle donne si trova in condizione di dipendenza economica, in Germania il 5%. Abbiamo una media del 65% del lavoro di cura non retribuito che ricade sulle donne, a fronte di una media europea del 39%. Sono dati che ci inducono a rilanciare con forza la nostra proposta di congedo paterno paritario, motore per la necessaria crescita culturale e concreta equiparazione dei diritti e dei doveri di uomini e donne sia nel mondo del lavoro che nell’ambito della cura e della gestione familiare.
Anche per questo va reso strutturale e ampliato il reddito di libertà, un sussidio economico mensile riconosciuto alle donne vittime di violenza, istituito dal governo Conte II proprio per garantire e favorire l’indipendenza economica, l’emancipazione e l’autonomia per le donne vittime di violenza, per metterle dunque in condizione di riprendersi in mano la propria vita.
Tutto ciò deve essere accompagnato da uno scatto in avanti, perché alla base della violenza contro le donne c’è una cultura della violenza radicata e stratificata su tutti i livelli, che ci riguarda tutti, uomini, donne, padri, madri, figli, sorelle, fratelli, compagni, ex, colleghi, amici.
Partire dai giovanissimi significa insegnare loro a evitare relazioni disfunzionali, ad accettare i “no”, i fallimenti, le delusioni, il rispetto della libertà altrui, per non crescere futuri adulti emotivamente analfabeti e incapaci di vivere relazioni sane.
Oggi, come ogni 25 novembre dal 1999, ricorre la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, una data simbolica che vogliamo estendere, perché il 25 novembre non è solo oggi, è tutti i giorni.
I minuti di silenzio sono finiti. È arrivato il momento di fare rumore.