Lo avete notato anche voi?
L’Italia incassa un’umiliazione sulla candidatura Expo e Giorgia Meloni fischietta indifferente, come se questa débâcle non la riguardasse.
Nel 2020 l’Italia ottenne oltre 200 miliardi in Europa e il Governo che si guadagnò quella vittoria, da me guidato, divenne il nemico pubblico numero uno, in particolare per un certo modo di fare politica e per buona parte della stampa.
Il raffronto tra questi due casi, pure molto diversi tra loro, chiarisce un aspetto: il dibattito pubblico è ormai inquinato dalla “facoltà di propagandare” che ha preso il sopravvento sul “diritto all’informazione”.
Partiamo dal Pnrr. Dopo il braccio di ferro con Bruxelles – e grazie ai sacrifici dei cittadini durante la pandemia – il mio Governo rientrò in Italia con i 209 miliardi. All’inizio nessuno ci credeva, ma quando riuscimmo a raggiungere questo risultato scoprimmo subito che il “patriottismo” in Italia è spesso inteso come un mero slogan elettorale. Non si contano i sommovimenti di bile che spinsero a sabotare quel piano di ripresa. Fratelli d’Italia si astenne più volte nel corso delle votazioni all’Europarlamento; esponenti della Lega iniziarono a screditare quel successo, fino a parlare di una “frittata fatta”; Renzi, il più spregiudicato, iniziò ad attaccare il Governo con i pretesti più disparati, sino a farlo cadere.
Anche dopo sono continuate le ricostruzioni più strampalate, tutte però accomunate dal voler riconoscere il merito di quei finanziamenti a tutti, fuorché al mio Governo: Berlusconi si intestò il risultato dai banchi dell’opposizione; molti lo intestarono a Draghi, che nel 2020 non era neanche a Palazzo Chigi; Renzi disse che era merito di un algoritmo olandese; per altri fu merito esclusivo di Angela Merkel.
Veniamo alla sconfitta della candidatura di Roma all’Expo 2030. L’insuccesso poteva starci, l’umiliazione no. Il verdetto di Parigi non lascia margini di interpretazione: Riad 119 voti, Roma solo 17. Siamo giunti ultimi, scavalcati anche dalla coreana Busan. Per coprire questo disastro è iniziato subito un teatrino di giustificazioni assurde. Abbiamo perso perché Virginia Raggi disse “no” alle Olimpiadi, sostiene qualcuno – omettendo però di precisare quale collegamento ci sia mai tra eventi così diversi. Abbiamo perso perché non possiamo competere con i mezzi finanziari di Riad. È una competizione tra città, quindi ha perso il sindaco Gualtieri. Insomma, è stato un florilegio di scuse per nascondere l’inadeguatezza del Governo Meloni in questo disastro.
Eppure Giorgia Meloni aveva dichiarato che l’Expo 2030 a Roma era – testuale – una “priorità nazionale”. Lo diceva dopo un incontro con i vertici del Bureau International des Expositions. Non si è però fatta vedere a Parigi e ancora oggi, a distanza di giorni da una votazione che ci ha umiliati, continua a fischiettare indifferente. Per inciso, un sano patriottismo l’ha dimostrato, al contrario, il presidente coreano Yoon Suk Yeol, il quale non solo si è piantato a Parigi per perorare la causa, ma di fronte al verdetto finale che ha visto il suo Paese arrivare secondo ha dichiarato: “Offro le mie sincere scuse per aver deluso la nostra gente. È tutta colpa mia”.
Pnrr ed Expo. Il dibattito in Italia ha seguito due pesi e due misure. È un copione che si ripete. Mai riconoscere meriti al M5S. Piuttosto tentare in tutti i modi di attribuirgli colpe, anche se imputabili ad altri.
Ma questo doppiopesismo non ci induce al vittimismo. Questo lo lasciamo a Giorgia Meloni. Al contrario, la reiterata ostilità nei nostri confronti non fa altro che rafforzare la convinzione che siamo sulla “strada giusta”: una forza di cambiamento, non addomesticabile, responsabilmente contraria alle incrostazioni di un sistema di potere economico, finanziario, editoriale che nel corso del tempo si è reso imperituro, avulso da qualsiasi processo democratico.
Non facciamo piagnistei. Andiamo dritti per la nostra strada. Ma la verità va raccontata.
Giuseppe Conte