La settimana prossima, in commissione Lavoro alla Camera, inizierà la discussione della nostra proposta di legge – a prima firma del Presidente Giuseppe Conte – per introdurre anche in Italia il salario minimo legale a 9 euro lordi l’ora.
Il Movimento 5 Stelle si batte per raggiungere questo fondamentale obiettivo dal 2013: nel primo disegno di legge per l’istituzione del Reddito di cittadinanza, presentato da Nunzia Catalfo, difatti, proponevamo anche di fissare una soglia minima sotto cui nessun contratto collettivo dovesse mai scendere. Un’azione che abbiamo reiterato nella scorsa legislatura al fine di approvare una misura che già esiste in 21 Paesi europei su 27, ridando dignità al lavoro e attuando veramente l’articolo 36 della nostra Costituzione secondo cui ogni lavoratore ha diritto ad una retribuzione sufficiente a garantire a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa.
L’urgenza di intervenire su questo fronte è dettata dai numeri. Fra il 1990 e il 2020, il nostro è stato l’unico Paese europeo in cui i salari medi dei lavoratori sono diminuiti (-2,9%); nello stesso periodo, invece, in Germania e Francia sono aumentati – rispettivamente – del 33,7% e del 31,1%. Non solo. In Italia il 12% dei lavoratori è povero (working poor): circa 200mila persone integrano il proprio stipendio con il Rdc per cercare di arrivare alla fine del mese.
Ecco perché il primo giorno della XIX legislatura abbiamo ripresentato la nostra proposta.
Con questa, intendiamo fissare un principio di buonsenso: nessun lavoratore può guadagnare meno di quanto previsto dai contratti collettivi nazionali di lavoro più rappresentativi – ossia quelli firmati dalle principali associazioni sindacali e datoriali – e, comunque, il salario minimo stabilito dal contratto collettivo non potrà mai scendere sotto i 9 euro lordi all’ora.
Contrariamente a ciò che, in modo sgangherato, vogliono far credere gli oppositori della misura, in questo modo la contrattazione collettiva non subirebbe alcun attacco. Al contrario, l’approvazione della nostra pdl rafforzerebbe la contrattazione “sana” e metterebbe fuorigioco i “contratti pirata” (sottoscritti da organizzazioni scarsamente rappresentative).
Altresì, per aiutare le imprese la proposta prevede la detassazione degli incrementi retributivi dei contratti collettivi nazionali di lavoro per il triennio 2023/2025 e – ancora – al fine di aggiornare e controllare l’osservanza del trattamento economico proporzionato e sufficiente si propone l’istituzione di una commissione composta dalle parti sociali più rappresentative.
Con l’istituzione di un salario minimo legale andremmo a proteggere le categorie più a rischio di emarginazione e sfruttamento, prime fra tutte giovani e donne. Il 23,3% di queste ultime, secondo uno studio dell’Inapp, vedrebbe crescere le paghe: in Germania, ad esempio, il pay gap si è ridotto di 2,5 punti percentuali dopo l’istituzione del salario minimo; in Irlanda addirittura del 21%. Per quanto riguarda i giovani con meno di 29 anni, il 47% di loro guadagna meno di 9 euro lordi l’ora.
Non è più il tempo delle parole, ma il tempo dell’azione. Votiamo subito la nostra proposta di legge e diciamo “basta” alle paghe da fame.