Il 2022 finisce così. Una certa narrazione distorta del Paese vorrebbe farci credere che questo succede solo nel profondo Sud.
Invece queste immagini arrivano da Milano, da sempre la locomotiva economica del Paese.
Pensate, 10mila persone in fila per un pasto caldo in appena due giorni, proprio nelle ore del Natale. È una situazione gravissima rispetto alla quale anche le associazioni e i volontari sono in evidente difficoltà per rimediare alimenti e beni di prima necessità.
Questa è l’Italia che gli altri non vogliono vedere, l’Italia a cui gli altri voltano le spalle e che noi invece guardiamo in faccia, guardiamo negli occhi.
E attenzione, qui non si tratta del generico concetto di “povertà”. In un momento storico come questo, dopo una crisi pandemica e due crisi economiche, momenti di difficoltà possono toccare a tutti. Chi dopo un brillante percorso di studi spesso per necessità lavora in settori molto diversi da quelli per cui si è preparato, chi ha costruito negli anni una professionalità, chi ha cambiato tanti mestieri e non si è mai risparmiato nella propria vita.
Tutti hanno un solo obiettivo: sbarcare il lunario. Non sempre ci si riesce. E questo non può essere una colpa!
In quelle file ci sono anche persone che un lavoro ce l’hanno, ma è precario e malpagato. Non sono fannulloni, neppure divanisti come li accredita Giorgia Meloni, che tra l’altro li ha paragonati a tossici che prendono il metadone di Stato.
Qui di tossico c’è solo la narrazione di chi vuole convincere i cittadini che il nemico da combattere è chi è in difficoltà economica, chi non trova un lavoro pur cercandolo.
Così smantellano il Reddito di Cittadinanza con una Manovra ingiusta, mentre autorevoli studi – penso a Svimez – annunciano 700mila nuovi poveri nel nuovo anno.
Io invidio la tranquillità con cui Meloni e i suoi Ministri davanti al loro caldo focolare di questo Capodanno risolvono tutto con una frase: “trovatevi un lavoro”. Senza spiegare né come né dove, visto che cancellano misure dei miei Governi – penso al Superbonus – che hanno creato 900mila posti di lavoro.
A brindare alle scelte di questo Governo, a 100 giorni dalle elezioni, però saranno in pochi: le persone che vivono di privilegi, corrotti, evasori. E addirittura anche le squadre di calcio di serie A che ricevono l’aiuto del Governo per coprire maxi debiti e speculazioni illecite.
In questo quadro verrebbe da deprimersi, affliggersi, gettare la spugna. Tutt’altro. La politica deve tracciare percorsi di speranza, visione, soluzioni.
Lo abbiamo visto anche a Roma, è accaduto realmente lo scorso 5 novembre. C’è un’altra strada rispetto alla rassegnazione sulla retorica della guerra e del riarmo a oltranza. Dopo tanti anni ci siamo ritrovati in 100mila, tutti insieme in piazza, per dire basta alla guerra e all’invio delle armi. Abbiamo costruito l’inizio di un percorso collettivo di cui andare orgogliosi, abbiamo dato voce tutti insieme – senza bandiere – a una maggioranza silenziosa che fino ad ora non contava, non esisteva.
Dobbiamo e possiamo costruire percorsi di questo tipo per dare voce a un’altra Italia, ben lontana dal Paese alla rovescia che ci viene prospettato oggi.
A chi in questi giorni smantella gli strumenti di protezione sociale e di sostegno alle famiglie della popolazione più fragile noi rispondiamo costruendo meccanismi di solidarietà e di mutualismo nei territori, mettendo al centro la dignità del lavoro, la dignità della persona.
È per questo che nel 2023, nelle Regioni in cui ci candidiamo e dove già condividiamo responsabilità di Governo, proponiamo di istituire subito misure locali per aiutare le persone più in difficoltà lì dove il Governo toglie loro tutto.
Idem sullo scellerato progetto di Autonomia differenziata prospettato da questa maggioranza, che intende allargare le disuguaglianze che già dividono il Nord dal Sud del Paese, che intende spaccare l’Italia e far correre a due velocità una comunità nazionale che invece nelle difficoltà ha imparato a essere unita e a tenersi per mano.
Queste non sono parole, questa non è retorica: io l’ho vissuto in prima persona.
L’ho vissuto da giovane studente, quando da un paesino della Puglia sono venuto qui a Roma a coltivare i miei sogni per cercare la mia strada professionale, la mia strada di vita. Ma anche da Presidente del Consiglio, nei momenti più duri della pandemia. Quando tanti medici e operatori sanitari sono partiti anche dalle regioni del Sud senza esitazioni per prestare soccorso ai colleghi già in prima linea nelle terapie intensive del Nord.
Questo è quello che siamo, una comunità, un’unica comunità che condivide un comune destino: se qualcuno cade, gli altri lo aiutano a rialzarsi, anziché affossarlo o – peggio – ignorarlo. Ecco, questo è il mio augurio a tutti per il 2023: non perdere questo nostro spirito di solidarietà, che è quello che ci unisce. Non basta augurarselo, bisogna agire. E facciamolo tutti insieme.