Di seguito la lettera pubblicata sul quotidiano Avvenire a firma della senatrice Susy Matrisciano presidente Commissione Lavoro e del senatore Iunio Valerio Romano, vicepresidente Commissione d’inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia
Gentile direttore, il 9 e 10 ottobre si celebreranno rispettivamente la 11ª Giornata nazionale in memoria delle vittime di disastri ambientali e industriali causati dall’incuria dell’uomo e la 71ª Giornata per le vittime degli incidenti sul lavoro, con manifestazioni in tutta Italia.
E ogni anno, di questi tempi, sollevare una penna diventa un macigno. Perché nell’arco di un anno, in media, in Italia avvengono 642.000 nuovi infortuni sul lavoro: più di 1.700 persone al giorno che, da un momento all’altro, vedono la propria vita sconvolta, spesso per sempre. Anche ieri, a Milano, nel Padovano e nel Torinese e in Sicilia è successo nel modo più drammatico. Abbiamo tutti un dovere morale. Perché non c’è sconfitta più grande, per un Paese, dell’incapacità di garantire condizioni lavorative sicure ai propri cittadini. Essere padroni della propria vita, grazie al frutto del proprio lavoro, è un diritto di ciascun individuo, e non vi è fruizione alcuna di diritto laddove il costo sia il rischio della propria salute, fisica e psicologica, oltre che il futuro proprio e di chi abbiamo intorno.
Bisogna ricordare, infatti, che a quella cifra – già insopportabilmente alta – si aggiunge quella delle centinaia di migliaia di familiari delle vittime; vittime anch’esse, molte delle quali costrette a soffrire della ferita più terribile di tutte: il veder strappati dalla propria vita gli affetti più cari. Scriviamo queste parole non perché siano occasione di un vuoto rimprovero a un interlocutore che è chiunque (e quindi poi nessuno). Né lo facciamo per vuota retorica.
Scriviamo perché sentiamo essere nostro dovere, come cittadini prima ancora che come senatori della Repubblica, ricordare che non c’è libertà, futuro o diritto che possa essere eretto sulla vita di innocenti. Lo facciamo per esortare ciascuno a far tutto ciò che è in proprio potere per spezzare questa catena di eventi. Ai datori di lavoro virtuosi diciamo di non arrendersi, anche quando la concorrenza prende la strada che porta a violare la normativa: quella strada è sporca di sangue. Ai nostri colleghi, ai legislatori del nostro Paese, scriviamo per chiedere di impegnarsi per tutelare i lavoratori e le realtà aziendali virtuose. Serve giustizia. E giustizia si ottiene sia con attività di prevenzione sia con un sistema sanzionatorio che porti a pene certe e giuste, ponendo così rimedio ai vizi che inficiano l’applicazione dell’attuale legge antinfortunistica: livelli di applicazione insoddisfacenti, esiti giudiziali non uniformi sul territorio nazionale, inefficienze del sistema sanzionatorio. Per questo serve volontà di intenti unitaria e impegno condiviso. Un primo passo in questa direzione sarà l’avvio dell’iter legislativo – con l’incardinamento in questi giorni in Commissione Giustizia e Lavoro grazie alla volontà condivisa di tutte le forze politiche – della nostra proposta di una Procura nazionale del Lavoro. Si tratta di una squadra di magistrati esperti e specializzati nel far fronte, incisivamente ma soprattutto rapidamente, ai reati di quei troppi che, ancora oggi, violano la legge a discapito della sicurezza dei lavoratori, convinti che la faranno franca. Sarà l’organo di riferimento per tutti gli addetti ai lavori, sentinelle di sicurezza di imprese, cittadini e lavoratori. Ai colleghi parlamentari lo chiediamo apertamente: non accettate che in aula i colori politici pesino più di una mano sulla coscienza. Serve giustizia per realizzare il bene comune: il sangue ha un unico colore.